Suppressed guns

Berlino, interno, notte fonda, un albergo come tanti. Suppressed guns, si chiamano cosi’: nella pratica pistole dotate di silenziatore. Ne esistono di universali per cui sia che tu abbia una classica Beretta o una meno comune Glock, il giochino funziona ugualmente.
Attenzione pero’, nulla a che vedere coi film di Hollywood: una pistola truccata avvantaggia chi spara al massimo di una trentina di decibel, il che e’ come dire che se tu fossi davanti alla tv, guardandola ad un volume normale e il tuo vicino di casa decidesse, che so’, di sparare alla suocera (e’ sempre un bel pensiero) silenziatore o meno, dal tuo divano sentiresti comunque lo sparo.
Ci siamo intesi?
Se hai gia’ deciso di far fuori qualcuno si tratta di dettagli.
Il mio personale “silenziatore” e’ arrivato in una busta anonima nove mesi fa. Dentro c’era tutto: dati, fotografie, orari, prove documentate con scrupolo. I passi più importanti erano persino evidenziati col classico Stabilo Boss giallo canarino. Roba da non crederci.

Niente (o quasi) che non supponessi gia’, ma un conto e’ il supporre, tutt’altro il trovarsi la verità spiattellata in 20 pagine fitte fitte riportate da uno sconosciuto in Times New Roman. Almeno niente Comics Sans.
Già, perché il lato divertente di questo lavoro ho sempre faticato a trovarlo casomai parlerei di altri sentimenti: più bassi, feroci, discutibili…

Non so ancora chi ringraziare per quel regalo inatteso. Avevo gia’ tutto quel che mi serviva ma, de facto, invece di una normale scacciacani mi ero ritrovato nelle mani l’equivalente di una suppressed gun, con tanto di mirino di precisione. Roba che avrei usato comunque, ovvio, ma tutto il lavoro investigativo che mi sarei apprestato a fare era gia’ lì, racchiuso in quelle venti pagine che ad occhio mi avrebbero risparmiato due mesi pieni di lavoro. A quel punto avrei potuto sparargli anche da vicino senza correre il minimo rischio.

L’odore del sangue che zampilla fresco da una vena, l’osservare un obiettivo in agonia, quell’intervallo rapido e sospeso tra vita e morte -lo ammetto- mi provoca da sempre qualcosa di simile a un orgasmo, ma questa e’ un’altra storia.

Nel contesto che vi sto raccontando, non mi restava che decidere tempi e modalità’. Poi una sera -metti anche due- c’ho riflettuto su. La pistola acquistata nel deep web per l’occasione l’ho smontata e gettata in un fiume; in quanto al “silenziatore” gli ho dato fuoco e col tizzone generato da tutte quelle carte mi sono acceso una Marlboro rossa; dovevo comunque festeggiare. Per una volta, solo per una, ho pensato che di ammazzare uno gia’ morto dentro non ne valeva la pena, nemmeno per una cifra esentasse a sei zeri. Ho lasciato perdere; ho, come si dice in gergo, rinunciato all’incarico. Ogni tanto capita. Che lo facesse fuori qualcun altro. Mica per empatia eh, che sia chiaro, solo perché accanirsi su qualcuno persino piu’ marcio di te, non e’ mai una buona idea. Come in tutti i lavori quando non ti diverti piu’ forse e’ il momento di smettere; persino se fai il killer a pagamento…
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Ps: i buchi logici di questo racconto breve sono voluti: e’ un pezzo lucidamente incompleto scritto in mezz’ora in una notte delle mie, quelle in cui non c’e’ verso di dormire. E’stato scritto pensando a Luis Sepulveda e al suo libro Diario di un Killer Sentimentale.

Se non lo avete mai letto ve lo consiglio. Ciao e a presto con un nuovo pezzo… SL.

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